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Eventi, Usanze e Prodotti tipici del luogo: i tartufi di Sestino, la coltura del melo, le sagre.
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Eventi, Usanze e Prodotti tipici del luogo

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Eventi, Usanze e Prodotti del luogo.

I Tartufi di Sestino

Tartufi

Al genere Tuber appartengono diverse specie di funghi ipogei comunemente chiamati tartufi, appartenenti alla famiglia Tuberaceae, classe degli Ascomiceti. I tartufi hanno corpo fruttifero ipogeo, ovvero sotterraneo, e crescono spontaneamente nel terreno accanto alle radici di alcuni alberi o arbusti, in particolare querce e lecci, con i quali stabiliscono un rapporto simbiotico (micorriza).

Comunemente per tartufo si intende il solo corpo fruttifero ipogeo che viene individuato con l’aiuto di cani e raccolto a mano. Il tartufo è un alimento estremamente pregiato e ricercato, molto costoso. Il tipico profumo penetrante e persistente si sviluppa solo a maturazione avvenuta e ha lo scopo di attirare gli animali selvatici (maiale, cinghiale, tasso, ghiro, volpe), nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie.

Sotto la denominazione di tartufo vengono ricomprese comunemente anche le terfezie, genere della famiglia Terfeziaceae, detti anche tartufi del deserto.

 

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Sono endemici di aree desertiche e semi-desertiche dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove sono molto apprezzati. La scienza che studia i tartufi si chiama idnologia e deriva dal greco δνον, hýdnon. (wikipedia)

 

La Bruschettata

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Nella cornice del Borgo Medioevale di Monterone (secolo XXX°, nel Comune di Sestino Arezzo, Ultimo lembo di terra in Toscana al confine con le Marche, territorio di proprietà dei Duchi di urbino fino ai primi decenni del ‘500) si svolge la sera del 14 agosto la tradizionale bruschettata.

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La sagra conserva lo spiritto di un tempo, in grado di ospitare grandi e piccini, comitive di ragazzi e famiglie. Dalle 19 in poi saranno aperti gli stand gastronomici e si potranno degustare le specialità locali: fagioli all’uccelletto e con le cotiche, salsicce cotte alla brace e chiaramente le bruschette, accompagnate da ottimo vino. Gli stando funzioneranno fino a ore tarde.

La serta procede con il tradizionale ballo in piazza con orchestra per i vicoli del Borgo, già prima che tramonti il sole (dalle 18.30, possibilità di fare aperitivi). Saranno aperte cantine ed osterie, ognuna dotata di un proprio menù e di un proprio angolo musicale ove poter ballare, cantare, divertirsi.

La Coltura del Melo

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Negli ultimi anni numerose sono state le ricerche finalizzate alla conoscenza del patrimonio vegetale autoctono della Valtiberina, in quanto ci si è resi conto che troppo velocemente e con troppa disinvoltura è stata abbandonata la coltivazione di frutti che forse andrebbero meglio conosciuti e che potrebbero continuare ad essere utili.

I frutti dimenticati

La coltivazione del melo ha rivestito una notevole importanza nell’economia rurale montana ed è stata fonte di sostentamento per l’uomo, che le usava anche per squisite marmellate, e per gli animali.
Il territorio di Sestino, fino al grande spopolamento rurale degli anni ’60 e ’70, era ricco di una notevole varietà di meli che producevano fragranti frutti dai nomi che evocavano il loro sapore e colore: mela olio, panaia, righetta, mela rosa, ecc..

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Purtroppo, oggi, questo patrimonio vegetale sta scomparendo per sempre a causa di una moderna agricoltura industrializzata e di una economia globalizzata che rischiano di cancellare l’identità dei luoghi, i saperi della civiltà contadina e quella biodiversità ambientale ritenuta fondamentale per la continuazione della vita sul nostro pianeta.

Il frutteto della povera gente

Le mele, assieme a tanti altri frutti naturali, sono state per secoli abbondanti alimenti per sfamare intere popolazioni di montagna.
Esse venivano conservate per mesi nella paglia e oltre ad essere utilizzate come prodotto fresco venivano impiegate per fare marmellate, dolci, per cucinare secondi piatti, per fare insalate; mentre dal suo succo, fatto fermentare, si ricavava il sidro, una bevanda alcolica.

Alcune curiosità

Il melo è una specie da frutto utilizzata dall’uomo fino dagli albori della civiltà; ritrovamenti archeologici risalenti al Neolitico antico (circa 8.000 anni A.C.) documentano l’utilizzazione delle mele.

Durante la sua plurimillenaria storia la mela ha avuto importanza non solo come frutto consumato fresco, ma anche per una serie di valori simbolici e culturali.

La mela nel mondo cristiano è stata considerata simbolo del peccato originale. La mela d’oro compare nel mito di Paride, che ebbe l’incarico di giudicare quale delle tre bellissime dee, Era, Atena e Afrodite fosse la più bella.

Nella mitologia greca essa era simbolo della bellezza femminile, dell’amore e della sensualità.

Presso i Romani la mela, con la sua rotondità, simboleggiava il mondo e quindi la sovranità su di esso, per cui spesso gli imperatori venivano raffigurati con una mela d’oro in mano.

Le mele sono state considerate anche come simbolo della salute, infatti un mito germanico racconta che la dea Idun possedeva mele che non facevano invecchiare.

I Celti consideravano il melo un albero cosmico il quale sosteneva la volta celeste, impedendole di precipitare sulla terra, schiacciando l’umanità.

Acqua di San Giovanni

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Era usanza, presso la civiltà contadina, la sera prima del giorno di San Giovanni (24 giugno), andare nel fiume a bagnarsi i piedi. Inoltre veniva preparata nelle case una bacinella d’acqua con dentro i petali dei fiori dell’iperico (erba di San Giovanni), della Ginestra e della Rosa.
Il mattino di San Giovanni ci si bagnava con quest’acqua, fonte di salute e di benessere, il viso e le estremità del corpo.

Cardo del Lanaiolo

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L’acqua che si raccoglieva nella  “COPPA” formate dalle foglie era considerata “ACQUA SANTA” e serviva per “SEGNARSI” e per pratiche rituali
Il Cardo era anticamente  usato per cardare la lana

Il Guado

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Il territorio di Sestino offre l’occasione di un viaggio nel passato alla scoperta di quella che fino alle soglie del ‘700 è stata una delle più importanti attività produttive locali: la coltivazione del guado.
Il “guado” o”guato” (Isatis tinctoria di Linneo) era una pianta erbacea coltivata in molte parti d’Europa, che per circa quattro secoli (XIV – XVII secolo) è stata la principale risorsa di molti territori appenninici costituendone l’economia base.

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Essa veniva utilizzata per tingere d’azzurro le stoffe; un colore che nasceva da una lavorazione straordinariamente complessa, che ha costituito una fiorente attività economica fin quando, nel XVIII° secolo, l’azzurro prodotto dal guado venne soppiantato dall’indaco proveniente dalle Indie, molto più economico e di facile impiego.

Localmente questa economia è testimoniata dalle numerose macine ritrovate su tutto il territorio comunale, oggi abbandonate nei campi, lungo le strade o riutilizzate nelle forme più svariate: fanno da basamento per croci, abbelliscono giardini o, scavate, servono come abbeveratoi.

fonte testo  http://www.comunedisestino.it/

 

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